LEGUMI
I legumi tutti sono consentiti per l’alimentazione del Paziente celiaco. Talora, per i non esperti, è difficile saperli distinguere da alcuni tipi di cereali. Ciò è invece importante, per la gestione corretta della malattia.
I legumi sono altamente nutrienti, ricchi di fibre e di amido resistente, di zinco, di ferro e di vitamine del gruppo B e rappresentano una delle migliori fonti di proteine vegetali. L’amido resistente, abbreviato con l’acronimo di RS (dall’inglese Resistant starch), è quella frazione di amido, che resiste ai processi digestivi da parte degli enzimi del piccolo intestino. Esso può fermentare nell’intestino crasso. I legumi andrebbero assunti frequentemente, per ridurre il consumo della carne. L’elevato apporto di fibre (solubili e insolubili) determina un’azione protettiva sulla funzionalità intestinale e riduce l’assorbimento di zuccheri e grassi.
Le fibre solubili e l’amido resistente nutrono la flora batterica del colon, agendo da prebiotici, riducendo il rischio di cancro del colon. L’elevata quantità di fibre e proteine aumenta il senso di sazietà, riduce la glicemia e migliora la sensibilità all’insulina. Come molti altri alimenti vegetali, i legumi contengono anche i così detti anti-nutrienti, sostanze che possono comprometterne il valore nutrizionale, interferendo con la digestione e l’assorbimento dei nutrienti. Questi sono:
- l’acido fitico, che riduce l’assorbimento di ferro, zinco e calcio. Per ridurre il contenuto di acido fitico, si possono usare l’ammollo a lungo, la germinazione e la fermentazione;
- le lectine: si tratta di proteine che resistono al processo di digestione e che possono causare, a lungo termine, il danneggiamento delle cellule che rivestono il tratto digerente. L’ammollo per una notte e l’ebollizione per almeno 10 minuti, sono i due processi che degradano le lectine;
- le saponine: gruppo eterogeneo di sostanze nutritive, resistenti alla digestione, che, come le lectine, risultano associate all’aumento della permeabilità intestinale (leaky gut). L’ammollo, la fermentazione e la germinazione sono i meccanismi che riducono il contenuto di saponine nei legumi.

Un effetto collaterale causato dai legumi è la flatulenza, per via di alcuni zuccheri fermentabili, i galatto-oligosaccaridi, presenti nelle bucce e che non vengono digeriti a livello intestinale. Il problema può essere risolto “passando” i legumi con un passaverdure, separando ed eliminando così le bucce. Oppure consumare i legumi decorticati, cioè privati della buccia. Esistono in commercio integratori alimentari, contenenti alfa e beta galattosidasi, che contribuiscono a ridurre la produzione di gas intestinali. Il LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana) consiglia un’assunzione settimanale di legumi freschi pari a 150 g.
I principali legumi sono: carrube, ceci, cicerchia, fagioli, fave, lenticchie, lupini, piselli, soia.
CARRUBE
La carruba è il frutto dell’albero Ceratonia siliqua. È un sempreverde, che arriva anche all’altezza di 10 metri e vive fino a 500 anni. È originario della Siria e vive in terreni rocciosi e calcarei in climi caldi. La carruba è nota come alimento ricostituente, benefico per l’intestino e lo stomaco, usato in Egitto e tra i Berberi, in Marocco. La carruba è anche chiamata “pane di San Giovanni”, perché, secondo la leggenda, il profeta si nutriva di questa pianta, durante i periodi di ascesi nel deserto.
I principi attivi della carruba sono presenti principalmente nelle pareti carnose, che separano i semi dai baccelli. La polpa contiene principi nutritivi, fibre, sali minerali, tannini e oligoelementi, come calcio, zinco, potassio, ferro, magnesio, fosforo e silicio. La gomma, derivante dal sottile involucro dei semi, è ricca di polisaccaridi. La carruba è calorica, ricca di proteine, fibre e zuccheri complessi. Contiene antiossidanti, flavonoidi e vitamina E, K.
La carruba stimola la peristalsi intestinale, ma è anche antidiarroica, protegge le mucose, abbassa il colesterolo, è un coadiuvante nelle diete dimagranti.
Transito intestinale
Per le fibre che contiene, la carruba, assunta sotto forma di polvere, svolge una funzione regolatrice della motilità intestinale. Nell’intestino, neutralizza l’acidosi che si genera nelle enteropatie diarroiche. Ha la capacità di assorbire acqua per più di 50 volte il suo peso, grazie al contenuto di pectine, cellulosa e lignina, una fibra di cui la carruba è ricchissima. Si genera un gel colloidale voluminoso, che distende le pareti intestinali e stimola una corretta peristalsi. Si consiglia di assumere dosi minime di 2 grammi ogni due ore, nell’arco della giornata. La polvere può essere sciolta nel latte, nel tè o in acqua calda.
Disturbi digestivi
La polvere di carruba aiuta la digestione perché le fibre nella sua composizione e le pectine assicurano la protezione delle mucose. La gomma di carrube svolge un’azione benefica nel trattamento del reflusso gastroesofageo e attenua anche i sintomi del colon irritabile. Per attenuare i disturbi digestivi, si consigliano capsule di carrubo, di circa 330 mg, ai pasti.
Colesterolo alto
La carruba riduce trigliceridi e colesterolo, grazie ai polifenoli, contenuti nelle fibre della carruba.
Sovrappeso
La carruba è un ottimo integratore, da affiancare ai regimi dimagranti, in quanto aiuta a regolare alcuni enzimi digestivi, grazie all’elevata presenza di tannini, di zuccheri complessi e di oligoelementi, che aumentano di volume, dando una sensazione di sazietà. Il suo alto contenuto nutritivo colma le eventuali carenze alimentari. Per l’effetto anti-fame, si consigliano 3/4 capsule di carrubo un’ora prima di mangiare.
Sostituto del cioccolato
La carruba è un’ottima risorsa per chi è allergico o intollerante al cacao. È usata come alternativa al cacao e al cioccolato, sotto forma di farina e pasta, nella preparazione di bevande e di dolci.
Parti utilizzate
Le parti più utilizzate in fitoterapia sono i frutti del carrubo, da cui si estrae la gomma di carrube e la farina di carrube, che deriva dall’essiccazione, dalla torrefazione e dalla frantumazione dei baccelli. La polvere di polpa di carruba, cioè la farina, può essere impiegata per numerose ricette, per preparare budini e creme con nocciole o mandorle. Si può utilizzare in aggiunta al latte (anche vegetale) o nei frullati.
Precauzioni d’uso della carruba
Le reazioni allergiche sono rare. La carruba può aumentare in modo rilevante l’effetto delle statine o di altri farmaci per la riduzione del tasso di colesterolo.
CECI
I ceci sono i semi della pianta Cicer arietinum, della famiglia delle Fabacee. Sono ricchi di proteine e fibre, sono utili per la salute del cuore e contro il colesterolo.
Soprannominata “la carne dei poveri”, la pianta del cece ha origini orientali. Oggi viene coltivata soprattutto in Pakistan e in India, mentre in Italia la produzione è scarsa. Ha una tradizione molto antica e oggi è il terzo legume più consumato al mondo.
I ceci sono ricchi di fibre e aiutano a regolarizzare l’intestino. Grazie al loro contenuto di acidi grassi omega 3 contribuiscono a controllare la pressione arteriosa e ad aumentare i valori del colesterolo HDL, quello cosiddetto buono, riducendo i livelli di LDL, il colesterolo cattivo. Questi legumi contengono folato, una sostanza che aiuta a mantenere bassa l’omocisteina, un aminoacido presente nel sangue che, quando raggiunge valori sopra la norma, aumenta il rischio dell’insorgenza di eventi cardiovascolari quali ictus e infarto. I ceci contengono molti sali minerali, tra cui magnesio, calcio, fosforo e potassio, vitamina C e vitamine del gruppo B. I ceci non contengono glutine e sono quindi indicati anche per chi soffre di celiachia.
I ceci contengono molta cellulosa e quindi possono dare qualche fastidio a chi soffre di colite.
Anticamente ai ceci venivano attribuite proprietà afrodisiache.
Quando si acquistano ceci secchi, bisognerebbe stare sempre attenti alla data di essiccazione; più i ceci sono vecchi più è difficile portarli alla cottura ideale. I ceci andrebbero sempre consumati entro un anno dalla loro essiccazione, anche per non perderne le preziose proprietà.
Prima della cottura i ceci vanno messi in ammollo in acqua, con un cucchiaio di farina e un cucchiaino di bicarbonato; in questo modo, diventano più digeribili e cuociono più in fretta. L’acqua di ammollo va ovviamente buttata e i ceci lavati prima della cottura.
CICERCHIA
La cicerchia (Lathyrus sativus L.), o pisello d’India, è un legume appartenente alla famiglia delle Fabaceae, diffusamente coltivato per il consumo umano in Asia, Africa orientale e, limitatamente, anche in Europa. È una coltura particolarmente importante in aree tendenti alla siccità e alla carestia, detta “coltura di assicurazione” poiché fornisce un buon raccolto, quando le altre colture falliscono. È anche nota con i nomi di pisello d’erba, veccia indiana, pisello indiano, veccia bianca, almorta, guija, pito, tito o alverjón (Spagna), chícharos (Portogallo), guaya (Etiopia) e khesari (India). Il consumo in Italia è limitato ad alcune aree del centro-sud ed è in costante declino.
Come altre Leguminacee, L. sativus produce semi ad alto contenuto di proteine. I semi contengono anche, in quantità variabile, una neurotossina, l’acido β-N-Oxalyl-L-α,β-diaminopropionico, od ODAP. L’ODAP è considerato la causa della malattia detta neurolatirismo, una patologia neurodegenerativa che causa effetti immediati nervosi e la paralisi progressiva degli arti inferiori. La malattia è stata riscontrata in seguito a carestie in Europa (Francia, Spagna, Germania), nel Nordafrica, nell’Asia meridionale, ed è ancora persistente in Eritrea, Etiopia ed Afghanistan, quando il seme delle specie Lathyrus diviene la fonte esclusiva o principale di nutrimento per lunghi periodi. Le ricerche rivelano che la concentrazione di ODAP nelle piante aumenta in condizioni estreme (ad esempio, siccità), aggravando il problema. Sono in corso programmi di tecniche di coltivazione che producano piante di L. sativus con minor concentrazione di ODAP.
Semi di cicerchia
La gastronomia tradizionale delle regioni secche dell’interno della penisola iberica prevede l’uso della farina di cicerchia (localmente nota come harina de almorta) per la preparazione di piatti cremosi, generalmente noti come gachas.
Il consumo di semi selezionati, coltivati e preparati in modo da eliminarne la tossicità, fa parte della cultura italiana.
La sostanza tossica è presente in diversa concentrazione in numerose specie del genere Lathyrus; in molti casi le intossicazioni sono causate da specie non identificate.
FAGIOLI
Alimento base delle antiche popolazioni del Nuovo Mondo, insieme al mais, il fagiolo fu importato nei Paesi Europei dai Conquistadores, a seguito della scoperta delle Americhe. La pianta del fagiolo, Phaseolus vulgaris, è dunque originaria dell’America centrale e del Messico; in quegli anni, in Europa esistevano già alcune specie di fagioli (genere Vigna), di origine però Africana.
I nuovi fagioli del genere Phaseolus presto soppiantarono gli altri, perché più redditizi e semplici da coltivare.
Phaseolus vulgaris è una pianta erbacea annua, appartenente alla famiglia delle Leguminose Papillionacee. Si contano innumerevoli varietà di fagiolo, stimate addirittura intorno alle 500: i cannellini ed i borlotti rappresentano sicuramente le tipologie di fagiolo più conosciute nel mercato italiano. In molte regioni della penisola, esistono alcune tipiche varietà di fagiolo: si ricordano i fagioli zolfini (Toscana), i fagioli Lamon (Veneto), quelli di Controne (Campania), i fagioli all’occhio, i Blu della Valassina (fagioli coltivati a Como), i Giallorinio della Garfagnana (tipici di Lucca) ed i fagioli neri. I fagioli Lima, molto pregiati e saporiti, sono assai richiesti nel mercato italiano, ma originari dell’America meridionale.
Fagioli
La pianta del fagiolo presenta un fusto rampicante o nano, che raggiunge altezze non superiori ai 4 metri; le foglie sono composte (trifogliate), quelle laterali sono asimmetriche e presentano piccole stipole (appendici che si differenziano alla base del picciolo). I fiori, raggruppati in racemi ascellari, presentano un colore variabile dal bianco al violetto, ma possono presentare sfumature giallognole o rossicce. I frutti, i fagioli per l’appunto, sono legumi ovaliformi, leggermente allungati, contenenti semi reniformi carnosi: anche il colore dei frutti, come quello dei fiori, può sfumare in diverse tonalità, in base alla varietà di fagiolo [tratto dal Dizionario ragionato di erboristeria e fitoterapia, di A. Bruni].
Tutti i semi presentano una sorta di occhio molto colorato e facilmente distinguibile che circonda il proprio ilo. I baccelli, contenenti i semi, si aprono semplicemente grazie alla pergamena, un cordone di fibre longitudinali, presente nella linea di saldatura del carpello. [tratto da Botanica delle piante alimentari, di C. Rinallo].
I baccelli privi di pergamena sono volgarmente chiamati fagioli mangiatutto, fagiolini o cornetti: questa varietà non è coltivata per i semi, ma per l’intero frutto (legume), da consumare fresco, chiaramente dopo cottura.
Conservazione e preparazione
I fagioli vengono venduti freschi, secchi, oppure in scatola: quelli freschi devono essere sgranati e cucinati in poco tempo, oppure congelati, quelli in scatola sono molto pratici e pronti all’uso. I fagioli secchi sono chiaramente meno pratici perché, oltre ai tempi di cottura relativamente lunghi, richiedono anche un periodo di ammollo: in primis, i fagioli secchi devono essere lavati al fine di eliminare eventuali impurità. Dopodiché devono essere tuffati in abbondante acqua fredda e lasciati in ammollo fino al raddoppio del volume. I tempi di ammollo variano in base alla varietà di fagiolo e possono talvolta protrarsi sino alle 24 ore.
Dopo questo tempo, si procede con la bollitura dei fagioli: anche in questo caso, i tempi dipendono dalla varietà considerata e possono variare dai 40 minuti alle 6 ore. È sconsigliato aggiungere sale all’acqua: infatti il sale potrebbe indurire la pellicina che avvolge i legumi. La salatura è consigliata dopo la cottura.
I fagioli sono molto nutritivi: apportano oltre 300 Kcal ogni 100 grammi di prodotto essiccato; contengono una percentuale minima di acqua (solo 10,5g ogni 100 g di fagioli) e pochissimi grassi (2 g/100 g di prodotto). I carboidrati, invece, rappresentano i nutrienti principali di questi legumi, considerando che costituiscono oltre il 50% dei macronutrienti in essi contenuti; anche le proteine rivestono un ruolo piuttosto importante nei fagioli (23,6 g/100 g di legumi), seguite dalle fibre (17,5g/100 g di fagioli). Le fibre stimolano il metabolismo, assicurando contemporaneamente il senso di sazietà.
I fagioli contengono la lecitina, fosfolipide utile in caso di ipercolesterolemia: la lecitina, infatti, favorisce l’emulsione dei lipidi, cosicché ne viene impedito il deposito nel sangue. I fagioli bolliti a lungo possono contenere cromo e molecole solforate, utili a ridurre i livelli di colesterolo, trigliceridi e glucosio nel sangue.
I fagioli sono ricchi di proteine: queste sono di basso valore biologico, necessitano di un abbinamento con cereali e derivati (orzo, farro, frumento ecc.). Un palese esempio di mutua integrazione è l’abbinamento della pasta con i fagioli: i fagioli assicurano un buon apporto degli aminoacidi carenti nella pasta, e viceversa.
Ii fagioli sono una miniera di calcio, fosforo, potassio e ferro.
Il consumo di fagioli rappresenta una pratica preventiva all’aterosclerosi, ma non ci sono ancora dimostrazioni accreditabili in merito.
Nella medicina popolare, della pianta Phaseolus vulgaris, vengono utilizzati i baccelli ed i pericarpi, per le proprietà potenzialmente diuretiche ed antidiabetiche: in erboristeria la pianta del fagiolo viene sfruttata per la preparazione di tisane depurative e diuretiche.
FAVE
La Vicia Faba, famiglia delle Leguminose, è diffusa non solo in tutta Italia, ma in tutto il mondo. Uno dei maggiori produttori mondiali è la Cina, e le fave hanno origini asiatiche, per quanto fossero già perfettamente conosciute ai tempi dell’antica Grecia e non mancavano mai sulle tavole dei Romani. Il contenuto proteico ne ha fatto per lunghi periodi uno dei classici cibi dei poveri, grazie al prezzo economico, alla facilità di coltivazione e diffusione, e alle ottime proprietà salutari e nutrizionali. Le fave garantiscono l’apporto di ferro e altri minerali, e una notevole quantità di vitamine, ovviamente se consumate crude, poiché la cottura spesso distrugge alcuni dei componenti.
Questa pianta presenta numerose varietà, di cui alcune destinate al consumo animale, come foraggio (quelle dette favetta e favino); la fava da orto, che appartiene al gruppo cosiddetto major, è invece quella che si trova sulle tavole, a partire dal periodo primaverile, sotto forma di baccelli, che contengono grandi semi schiacciati, che vanno consumati dopo aver eliminato la parte esterna. La pianta può raggiungere i 140 centimetri di altezza; i baccelli hanno dimensioni che arrivano a circa 25 centimetri, e contengono in genere tra i cinque e i dieci semi.
Come tipico dei legumi, le fave mostrano una certa versatilità nella conservazione, per cui possono essere reperibili sia fresche, sia essiccate, sia congelate. A differenza di fagioli, lenticchie et similia, le fave presentano il vantaggio di poter essere mangiare anche crude: un vantaggio sia dal punto di vista del sapore, sia da quello delle proprietà nutritive, poiché vitamine e minerali non vengono distrutti dalla cottura.
Se si opta per le fave fresche, che in genere si iniziano a trovare a primavera inoltrata, è sufficiente aprire il baccello, estrarre il seme ed eliminare la pellicola che lo racchiude, il cosiddetto tegumento. Cotte, le fave possono arricchire zuppe e minestroni, insieme ad altre verdure e legumi, possono essere consumate come contorno a sé, e come purea.
Tantissima acqua, fibre, proteine, quasi irrilevante la presenza di grassi: queste caratteristiche fanno delle fave un cibo ipocalorico e con ottimi benefici sulla salute. Il basso apporto calorico, circa 70 calorie per cento grammi di fave, ne fa un cibo adatto alle diete ipocaloriche; ovviamente si parla di fave fresche, poiché quelle essiccate hanno valori nutrizionali completamente diversi e sono molto più caloriche.
L’acqua e le fibre aiutano sia la diuresi sia la motilità intestinale, insieme ai tanti minerali presenti. Tra questi spicca il ferro, ovviamente vegetale, che ne fa un cibo consigliato in casi di carenza di questo minerale. Tante le vitamine, tra cui l’acido ascorbico. Una particolarità della pianta delle fave, per quanto ciò dipenda moltissimo dalla varietà, è la presenza di levodopa.
Le fave presentano una controindicazione gravissima, legata a una malattia, definita favismo. È una patologia correlata al deficit di un enzima, il G6PD (glucosio-6-fosfato deidrogenasi): le persone che presentano questo deficit, se esposte a determinate sostanze, possono andare incontro a conseguenze anche gravi, come l’anemia emolitica.
Le fave fresche sono fonti di vitamine, soprattutto la C e molte del gruppo B, di vitamina A ed E, e di minerali; buona la presenza di ferro, accompagnato da potassio, fosforo, calcio, sodio, magnesio, rame, selenio.
LENTICCHIE
Ricche di fibre, sali minerali e vitamine, le lenticchie sono considerate, fin dai tempi antichi, la “carne dei poveri”. Sono legumi appartenenti alla famiglia delle Papilionacee e la loro storia inizia molti secoli fa. Alcuni studi, condotti su reperti fossili, riferiscono che le lenticchie sono il legume più antico coltivato dall’uomo. Le prime tracce della loro esistenza risalgono addirittura al 7000 a.C, epoca in cui già risultano coltivazioni, specialmente in Asia e soprattutto nella regione che oggi corrisponde alla Siria e da questa zona si diffusero facilmente in tutto il mediterraneo. Per quanto riguarda il consumo, le notizie riferiscono che in Turchia erano soliti farne uso già dal 5.500 a.C. Dunque, la sua storia inizia già in tempi molto remoti: alcune testimonianze dell’uso delle lenticchie si trovano anche nella Bibbia, ma non solo: nelle tavole degli antichi romani e greci, non mancavano mai, anche se venivano utilizzate principalmente dalle classi più povere, in virtù del loro potere nutritivo ed energetico. In particolar modo, essendo un alimento facilmente reperibile e poco costoso, specialmente nel Medioevo e in periodi di forti carestie, quando il cibo scarseggiava, questo piatto sostituiva facilmente un pasto completo, fornendo proteine e vitamine e migliorando anche le condizioni di salute e quindi la resistenza alle malattie.
La consumazione delle lenticchie deve avvenire previa cottura, poiché a crudo il prodotto non è digeribile, a causa della presenza di fattori anti-digestivi che vengono distrutti dal calore. Sono facilmente conservabili ed hanno un costo basso, per cui vengono consumate da sempre in molte nazioni, specialmente in Italia, dove è consuetudine mangiarle durante la cena dell’ultimo dell’anno. Tale usanza deriva dall’antica tradizione romana di regalare una “scarsella” (una piccola borsa di pelle per conservare i denari contenente lenticchie) con l’augurio che le lenticchie possano trasformarsi in monete. Le lenticchie sono molto diffuse in tutto il mondo. In America, sia quella settentrionale sia quella meridionale, si coltivano soprattutto le lenticchie gialle e verdi a seme grande (6-9 mm). In Europa, nel bacino del Mediterraneo, in Medio Oriente e in India, si coltiva la lenticchia a semi piccoli (2-6 mm) di color arancio, marrone e rossiccio. Quando è possibile, è opportuno scegliere le lenticchie secche, rispetto a quelle in scatola, perché sono più ricche di principi nutritivi e prive di conservanti. Quelle in scatola sono più pratiche e più veloci da cucinare, ma è anche importante ricordare che cuocere questo legume è piuttosto facile e poco impegnativo: basta mantenere le lenticchie “in ammollo” (minimo 4 ore ma il massimo sarebbe arrivare a 12) aggiungendo del bicarbonato (un cucchiaio per ogni litro d’acqua). A contatto con l’acqua, il bicarbonato si scioglie, liberando anidride carbonica e acqua, quindi il calcio si deposita sul fondo. Perciò viene utilizzato il bicarbonato: per aumentare la concentrazione degli ioni bicarbonato, che hanno il compito di evitare la formazione della pellicola sulla superficie dei legumi, rendendoli poco gradevoli. Un’importante accortezza è quella di dosare bene l’acqua quando si cucinano, in modo da evitare la perdita di vitamine e preziosi sali minerali. Per questo motivo, è opportuno usare una quantità d’acqua adeguata (l’acqua deve coprire abbondantemente le lenticchie fino a ricoprirle tutte) e per quanto riguarda la cottura, l’ideale sarebbe poterle tenere sul fuoco (lento) per circa mezz’ora o poco più.
Lenticchie
Famose in tutto il mondo, le lenticchie più pregiate sono quelle italiane, in particolare quelle di Castelluccio di Norcia (Umbria), che hanno ottenuto il riconoscimento della IGP (Indicazione Geografica Protetta). Sono famose per la loro delicatezza e per le loro dimensioni: il diametro medio di questa varietà, è di circa due millimetri. I contadini di Castelluccio vengono considerati i precursori dell’agricoltura biologica: ogni anno nello stesso terreno, alternano coltivazioni di lenticchie con quelle di frumento e pascolo, senza utilizzare i fertilizzanti chimici. Tra le varietà più conosciute ricordiamo:
- Lenticchia di Colfiorito; coltivata sempre in Umbria, nell’altipiano di Colfiorito dove il terreno è fertile grazie alla presenza di un lago che si sta trasformando lentamente in palude
- Lenticchia verde di Altamura; leggermente più grande rispetto a quella marrone, adatta alla preparazione di contorni
- Lenticchia rossa; conosciuta anche come “lenticchia egiziana”, molto diffusa in Medio Oriente, commercializzata decorticata, richiede un tempo di cottura piuttosto breve;
- Lenticchie di Villalba; di dimensioni piuttosto grandi;
- Lenticchie di Ustica; piccole, tenere, saporite e dal colore marrone scuro;
- Lenticchie dell’Armuña; famose per il loro gusto e la loro morbidezza,
Da segnalare anche quelle di Fra Antillo, Chiaramonte, Gangi, Marianopoli, Restauro, delle Eolie, Ventotene e di Mormanno.
Calorie e valori nutrizionali delle lenticchie
Lenticchie secche (Valori per 100 grammi):
- Parte edibile: 100 g
- 325 Kcal
- Proteine animali: 0 g
- Proteine vegetali: 25 g
- Carboidrati: 54 g
- Grassi: 2,5 g
- Fibre: 13,7 g
- Ferro: 5,1 mg
- Calcio: 127 mg
- Vitamina C: 3mg
Lenticchie in scatola (Valori per 100 grammi):
- Parte edibile: 100 g
- 61 Kcal
- proteine animali: 0 g
- Proteine vegetali: 5 g
- Carboidrati: 10,7 g
- Grassi: 0,4 g
- Fibre: 5,3 g
- Ferro: 1,2 mg
- Calcio: 19 mg
- Vitamina C: 2 mg
Le lenticchie hanno un alto valore nutritivo e contengono circa il 25% di proteine, il 53% di carboidrati e il 2% di olii vegetali. Sono anche ricche di fosforo, ferro e vitamine del gruppo B. Hanno anche un alto contenuto proteico, una buona quantità di zuccheri e una scarsa quantità di grassi, oltre ad essere ricche di vitamine, sali minerali e fibre. Sono molto indicate nella prevenzione dell’arteriosclerosi, poiché i pochi grassi in esse contenute sono di tipo insaturo. La grande quantità di fibre le rende molto importanti e utili per il funzionamento dell’apparato intestinale e per tenere sotto controllo il livello del colesterolo.
Le lenticchie contengono i soflavoni, sostanze che “puliscono” l’organismo. Gli esperti consigliano di consumarle soprattutto in virtù delle loro proprietà antiossidanti che agiscono positivamente sugli inquinanti a cui tutti siamo soggetti. Le lenticchie sono molto ricche di tiamina, mentre il contenuto consistente di vitamina PP fa sì che esse abbiano anche la proprietà di fungere da potente equilibratore del sistema nervoso. Infine, sono molto indicate per tutti coloro che necessitano di ferro, mentre sono assolutamente controindicate nei soggetti iper-uricemici.
Non esiste un mese particolarmente indicato per la coltivazione delle lenticchie, ma generalmente questa avviene tutto l’anno. Quando si sceglie di acquistare le lenticchie già cotte, occorre fare attenzione che non abbiano coloranti e conservanti: la conservazione in vaso di vetro è la più sicura, quando si decide di consumarle, ma vanno ugualmente bene quelle che si acquistano in scatola o in sottovuoto. Per quanto riguarda invece l’acquisto di quelle secche, occorre controllare bene che non siano presenti sostanze estranee e che le lenticchie siano integre (vanno conservate in un luogo fresco e asciutto e consumate entro la data di scadenza indicata sulla confezione). Le lenticchie, una volta cotte invece, si conservano in frigorifero per due o tre giorni.
LUPINI
Altramuz chocho blanco in spagnolo, Wolfsbohne in tedesco, white lupin in inglese e lupino bianco in italiano: si tratta di una leguminosa nota in botanica come Lupinus albus L., appartenente alla famiglia delle Leguminose Papilionacee, ed originaria dei Paesi Orientali.
Il genere Lupinus racchiude oltre 200 specie di piante erbacee perenni, talvolta annue; tra quelle di maggior rilevanza fitoterapica ed alimentare, spicca L. albus, mentre L. littoralis, L. laxiflorus, L. termis e L. hirsutus, sono le più sfruttate in assoluto in ambito prettamente erboristico.
I lupini sono legumi altamente energetici, entrati a trecentosessanta gradi all’interno della dieta mediterranea. Attualmente, però, piuttosto che consumarli a pasto, i lupini vengono gustati abitualmente come snack, diventando simbolo delle feste popolari.
Lupini
Coltivazione e diffusione
La pianta dei lupini è coltivata sin dai tempi più remoti nelle aree del Mediterraneo e del Medio Oriente, grazie alla marcata adattabilità a terreni acidi ed aridi, e a climi ostici e sfavorevoli. Fin dall’antichità, è stata osservata la spiccata capacità della pianta di giovare al terreno, migliorandone persino la fertilità.
Un tempo, la produzione di lupini era piuttosto copiosa, vista la consistente domanda di mercato: con il tempo, la richiesta di lupini crollò, soprattutto a seguito dello sfollamento delle aree più povere della popolazione, zone in cui il lupino – considerato il suo scarso valore commerciale – si era conquistato un ruolo da protagonista nell’alimentazione.
Attualmente, la coltivazione di lupini è particolarmente diffusa nelle aree del Meridione.
Il Lupinus albus appartiene alla stessa famiglia di fagioli, fave e lenticchie, solo alcune tra le numerosissime specie di Leguminose Papilionacee. La pianta presenta un fusto poco ramificato che, generalmente, non supera i 70 centimetri di altezza, ma può talvolta sfiorare il metro e mezzo. Le foglie, alterne e palmato-composte (ognuna delle quali è costituita da 5-9 foglioline disposte lungo il peduncolo), mostrano una delicata peluria sulla pagina inferiore, mentre quella superiore risulta glabra; particolare è il movimento delle foglie in base allo spostamento del sole nel cielo.
La pianta dei lupini presenta grandi fiori vistosi e biancastri, talvolta maculati di celeste.
I legumi, lunghi ed eretti, contengono semi schiacciati, lenticolari e bianco- giallastri, da consumarsi preferibilmente previa cottura.
I lupini prosperano facilmente su terreni acidi, peculiarità che distingue la pianta dagli altri legumi, amanti invece di terreni per lo più calcarei.
Essendo legumi, anche i lupini rientrano tra gli ortaggi energetici, assicurando ben 114 kcal per 100 grammi di prodotto, con il 69% di acqua, il 16,5% di proteine, il 7% di carboidrati ed il restante 6,5% diviso tra fibre e grassi.
I lupini fungono da miniera di sali minerali, in particolare ferro e potassio, oltre a presentare una modesta quantità di vitamina B1.
Tra i vari componenti del lupino, gli alcaloidi rivestono sicuramente un ruolo importante: si tratta di lupotossina, lupanina ed oscilupanina, riscontrabili nei semi freschi e crudi di lupino. Oltre alla componente alcaloidea, i lupini sono caratterizzati da percentuali variabili di acidi organici, resine, lupeolo, galattosio, arginina, vanillina e lecitina.
Lupini ed alcaloidi
I lupini devono essere consumati previa cottura a causa di una sostanza di natura alcaloidea, denaturata – quindi resa innocua – dal calore o da opportuni processi di preparazione: la molecola potenzialmente tossica è soprattutto la lupo-tossina. Per ovviare a questo inconveniente, i botanici stanno correggendo il profilo genetico del lupino, per diminuirne la quantità di alcaloidi all’interno dei semi. Per rendere commestibili i lupini, è necessaria una salamoia, utile per “estrarre” gli alcaloidi amari e tossici.
I lupini sono consumati soprattutto come snack, piuttosto che a pasto. Sono utilizzati anche per la produzione di farine, ma in questo caso il consumo è destinato prevalentemente all’alimentazione del bestiame.
In passato, i semi della pianta dei lupini venivano impiegati come surrogato del caffè: il sapore del “caffè di lupino” risulta molto amaro, quindi, per addolcirne l’aroma, si consiglia di mescolarne la polvere con orzo o frumento.
In commercio, i lupini si trovano per lo più cotti e conservati sottovuoto, dunque pratici, pronti al consumo e ricchi di tutte le sostanze nutritive in essi presenti.
I lupini secchi, che richiedono un tempo di ammollo prima della cottura, sono meno venduti.
Usi fitoterapici
Anticamente, il consumo di lupini era considerato un buon rimedio naturale per combattere eczema e scabbia: attualmente, le proprietà fitoterapiche dei lupini sono sfruttate per lo più a scopo diuretico, emmenagogo ed aperitivo, oltre a rappresentare un possibile febbrifugo naturale (sotto forma di decotto di lupini). La farina di lupini è talvolta utilizzata come vermifugo ed antielmintico. I lupini possono essere consumati anche dai celiaci perché non formano glutine.
PISELLI
I piselli sono una varietà di legumi molto diffusi in Italia. In primavera-estate si consumano freschi e nel resto dell’anno si possono gustare secchi, nella variante surgelata o in scatola.
La pianta, nota botanicamente con il nome di Pisum Sativum (famiglia delle Fabaceae), ci regala frutti piccoli di colore verde comunemente chiamati piselli. Questi legumi sono di origine antichissima, addirittura le prime testimonianze risalgono al 2000 a.C. in Asia Minore. L’Italia è uno dei principali produttori e, nel nostro Paese, sono tra i legumi più utilizzati.
Piselli, varietà
Non tutti sanno che esistono diverse varietà di piselli che differiscono un po’ tra loro per forma e colore. Tra questi ricordiamo: il pisello di Mirandolo Terme, il pisello Nero di l’Ago, i piselli di Lumignano, ma anche le taccole o i fagiolini corallo, che, a dispetto del nome, sono annoverati tra le specie di questo legume.
Altre tipologie di piselli coltivati nel nostro Paese, spesso dai nomi curiosi che derivano da alcune caratteristiche del baccello, dall’area di produzione o altro, sono: Meraviglia d’Italia, Espresso Generoso, Tesedra, Senatore, San Cristoforo, Alderman, Lavagna, Vittoria, Navona. Le varietà hanno diverse classificazioni: si parla di piselli da sgusciare e piselli senza pergamena, con semi rugosi o invece tondi, piante rampicanti o nane.
Le varietà di piselli in tutto il mondo sono migliaia, nel nostro Paese ricordiamo in particolare:
- Pisello di Mirandolo terme
- Pisello Nero di l’Ago
- Piselli di Lumignano
- Espresso generoso
- Tesedra
- Senatore
- San Cristoforo
- Alderman
- Lavagna
- Vittoria
- Navona
- Taccole
- Fagiolini corallo
Piselli, proprietà
I piselli vantano diverse proprietà benefiche, che derivano dalle sostanze nutritive e i principi attivi in essi contenuti. Sono legumi particolarmente leggeri e digeribili, rispetto ad altre varianti (anche in quanto poco calorici e con basse quantità di grassi) e solitamente non danno alcun problema di aerofagia o meteorismo.
Quelli freschi sono ricchi di sali minerali, vitamine e acqua e dispongono di fibre utili per il benessere intestinale e per contrastare eventuali casi di stitichezza. Hanno potere antiossidante e contribuiscono a saziare.
I piselli aiutano inoltre a controllare colesterolo e glicemia e sembrano essere anche alleati di cuore, circolazione e sistema immunitario, grazie alla presenza di clorofilla che stimola la produzione di globuli rossi.
Questi piccoli alimenti sono diuretici e, grazie alla presenza di fitoestrogeni, ovvero estrogeni di origine naturale, possono essere utili ad alleviare i disturbi tipici della menopausa.
Ricapitolando i piselli sono:
- Leggeri e digeribili
- Poco calorici e poco grassi
- Non danno problemi di aerofagia o meteorismo come altri legumi
- Ricchi di sali minerali e vitamine
- Contengono fibre
- Migliorano la digestione e le funzioni intestinali
- Antiossidanti
- Tengono a bada il senso di fame
- Contrastano la stitichezza
- Tengono a bada colesterolo e glicemia
- Sono alleati di cuore e circolazione
- Aiutano il sistema immunitario
- Sono diuretici
- Alleviano i disturbi della menopausa
Piselli, valori nutrizionali
I piselli freschi potrebbero essere equiparati un po’ ad alcuni ortaggi. Sono infatti composti per l’80% circa da acqua oltre che da carboidrati, proteine vegetali, fibre, sali minerali e vitamine. Nella variante secca, il quantitativo di fibre e proteine aumenta considerevolmente.
Piselli, calorie
Tra i legumi, i piselli sono i meno calorici: apportano solo 52 kcal ogni 100 grammi di prodotto fresco. Sono inoltre poveri di grassi e quindi consigliati a chi segue un regime alimentare finalizzato alla perdita di peso ma anche al benessere in generale.
Piselli, usi
I piselli vengono tradizionalmente consumati freschi nel periodo di raccolta che va dalla primavera all’estate. Nel resto dell’anno è possibile comunque avere a disposizione i piselli congelati, in barattolo di vetro, in lattina o ancora nella variante secca.
Si sconsiglia l’utilizzo di piselli in scatola, che di solito non mantengono bene il sapore originario di questo legume e inoltre il processo di inscatolamento può andare a ridurre il loro valore nutrizionale. Meglio quindi scegliere la versione in vetro o quella surgelata.
I piselli si prestano alla realizzazione di molti piatti, si tratta probabilmente del legume più versatile che può per questo essere utilizzato per preparare tante pietanze dall’antipasto, al primo al contorno. Si abbinano molto bene con cereali come riso, farro e orzo per preparare gustose insalate fredde in primavera ed estate oppure piatti caldi in inverno. Si possono realizzare anche sformati, frittate o fari-frittate oltre che ovviamente zuppe, minestre o vellutate (per queste ultime preparazioni si prestano bene anche i piselli secchi).
Come le fave, anche i piselli si possono consumare crudi. Non bisogna però eccedere nell’utilizzo in questo senso per non avere effetti indesiderati.
Ricapitolando i piselli si possono usare:
- Freschi
- Secchi
- In scatola
- Surgelati
Per realizzare:
- Insalate di cereali
- Altri primi piatti
- Vellutate, minestre e zuppe
- Contorni
- Sformati
- Frittate o farifrittate
SOIA
Nome volgare: Soia. Nome scientifico: Glycine max. Famiglia: Fabaceae o leguminose
La soia è una pianta erbacea annua che può raggiungere 80-100 cm di altezza. Ha un portamento eretto, più o meno cespuglioso, è ricoperta di peli ispidi, da cui il nome originale di “soia ispida”. Ha foglie composte trifogliate, fiori piccoli, papilionati, di colore dal bianco al rosso al viola a seconda della varietà; il frutto è un baccello di colore violetto contenente da 1 a 5 semi di colore giallognolo chiaro o scuro a seconda delle varietà.
La parte impiegata sono i semi, i quali contengono un’elevata quantità di proteine, lipidi polinsaturi e glucosidi che comprendono isoflavoni e saponine.
Pianta originaria dell’estremo oriente (Manciuria), coltivata da 5000 anni in Cina, la soia arriva in Occidente tra l’800 ed il 900. Diventa il prodotto di punta nell’agricoltura statunitense durante la seconda guerra mondiale.
Coltivata su vasta scala in Cina, Giappone ed Indocina oggi anche nel sud America e negli Stati Uniti dove le varietà più produttive sono state manipolate geneticamente in modo da ottenere un prodotto qualitativamente e quantitativamente eccellente (OGM). La cultura della soia si è diffusa anche in alcuni Paesi europei come l’Italia, dove per legge non esistono coltivazioni di soia geneticamente modificata.
VALORI NUTRIZIONALI:
La soia è una leguminosa, come i fagioli, i ceci o le lenticchie, e come tutti i legumi è ricca di vitamine del gruppo B, di ferro e di potassio. A differenza degli altri legumi la soia è però più digeribile e ricca di proteine e di lipidi (monoinsaturi, polinsaturi e fosfolipidi come la lecitina). Le proteine della soia hanno un discreto profilo aminoacidico.
L’interesse per le proprietà benefiche della soia ebbe inizio quando alcuni studi epidemiologici condotti su popolazioni asiatiche misero in luce una minore incidenza di alcune forme tumorali come il cancro alla mammella, al colon e alla prostata. Si osservò che le donne orientali avevano una menopausa più serena rispetto alle donne occidentali ed il rischio di osteoporosi e malattie cardiovascolari era ridotto. Si ipotizzò l’esistenza di una relazione tra consumo di soia e ridotta incidenza di questi disturbi e patologie. Per confermare tale ipotesi furono condotti numerosi studi che ancora oggi vengono effettuati con insistenza, per scoprire nuove proprietà e valutarne gli effetti positivi sulla salute.
Semi di soia
I presunti effetti benefici della soia sono legati alla presenza di fitoestrogeni (sostanze naturali contenute nelle piante con azione estrogeno-similie) ed isoflavoni (sostanze molto efficaci nel contrastare i disturbi della menopausa). Per essere assorbiti, gli isoflavoni devono essere convertiti in agliconi (daidzeina e genisteina) ad opera della flora batterica intestinale. Una volta assorbite, queste sostanze vengono rielaborate dal fegato che le metabolizza producendo derivati con attività estrogena.
In fitoterapia si sfruttano tali caratteristiche per attenuare la sindrome climaterica (insieme di disturbi fisici associati a menopausa, come vampate di calore, insonnia, palpitazione, osteoporosi e secchezza vaginale). Queste sostanze si sono dimostrate efficaci anche nel placare i disturbi della sfera emotiva riducendo ansia, irritabilità, depressione ed instabilità umorale. La soia protegge inoltre l’organismo femminile dalle malattie cardiovascolari, abbassando la pressione arteriosa e il colesterolo, migliorando l’elasticità delle arterie e combattendo i radicali liberi. Purtroppo, tutti questi effetti benefici sono ancora in attesa di conferma, e molti Ricercatori mettono in guardia da eccessivi entusiasmi verso la soia; a dosi elevate, infatti, i prodotti alimentari e gli integratori derivati potrebbero non solo rivelarsi inefficaci, ma addirittura pericolosi per la salute.
In campo nutrizionale dai semi della soia, molto ricchi di proteine e grassi insaturi, si ottengono numerosissimi prodotti come: latte, tofu (formaggio vegetale), miso (condimento cremoso), olio, farina e fiocchi, lecitina di soia, pane di soia, carne di soia, tamari e shoyu (salse liquide scure, tipiche della cucina orientale).
La lecitina di soia è una sostanza naturale, che fu isolata per la prima volta dal rosso d’uovo nel 1850 da Maurice Gobley. La lecitina ha una composizione chimica molto complessa e le sue proprietà emulsionanti le permettono di formare una sospensione di colesterolo nel sangue, diminuendo significativamente il rischio di aterosclerosi, infarto ed ictus cerebrale.
La lecitina viene inoltre impiegata in campo alimentare come emulsionante ed esaltatore di aromi (gelati, biscotti, dolciumi ecc.) e in campo industriale, come ingrediente per la produzione di vernici e di gasolio ecologico. Le proteine di soia vengono aggiunte anche in alcuni salumi per aumentare il contenuto proteico, le qualità organolettiche e per prolungare i tempi di conservazione. Nei prodotti da forno, l’aggiunta di farina di soia migliora i valori nutrizionali, aumentando il contenuto in fibre e proteine.
Utilizzazioni particolari della lecitina di soia si hanno nell’industria dei prodotti petroliferi ed in quella farmaceutica, per la produzione di specialità per la cura di malattie del fegato, del cuore, del sistema nervoso, del metabolismo, dei lipidi ed in molti altri casi. Le lecitine sono infatti una fonte di fosforo organico e di colina.
In ambito cosmetico si utilizzano diverse sostanze contenute nella soia. Gli acidi grassi polinsaturi, oltre ad essere particolarmente efficaci nell’abbassare il colesterolo, migliorano infatti il trofismo e l’elasticità della cute. L’olio di soia viene impiegato per produrre saponi e prodotti cosmetici in associazione a quello di avocado.